martedì 30 giugno 2009

SO' COMUNISTA COSI!!!


SE IL BUON GIORNO SI VEDE DAL MATTINO: AL PRIMO CONSILIO PROVINCIALE TUTTA L'OPPOSIZIONE (PD, LISTE SOLIDALI E DI PIETRO) SI ASTIENE SUL PROGRAMMA DELLA PRESIDENTE LEGHISTA! COMPLIMENTI, QUESTA SI CHE E' OPPOSIZIONE.
E COME DIREBBE MARIO BREGA(NELLA FOTO): A REGAZZI', IO NON SO' COMUNISTA COSI', SO' COMUNISTA COSII!!
In un nota di questa mattina Giancarlo BOSELLI vice-Sindaco di Cuneo PD definisce l’astensione del PD sul programma del Presidente GANCIA un grave errore politico. Brutta partenza, non si è mai vista l’opposizione astenersi sul programma di un Presidente per di più leghista, dice Boselli.
Vado a leggermi i resoconti del Consiglio Provinciale di ieri e rimango quanto meno stupito: Boselli ha ragione, è proprio vero.
Sinceramente: ora capisco perchè Taricco era tanto preoccupato di avere i Comunisti in alleanza, mai come oggi la nostra scelta di correre da soli pur non riuscendo ad eleggere neppure un Consigliere Provinciale si rivela seria e coerente, i nostri oltre seimila elettori possono stare tranquilli, non hanno sprecato il voto.
Mi chiedo come farà il PD e Di Pietro a giustificare questo segnale politico quanto meno inquietante con i propri di elettori: buoni a strillare in campagna elettorale, pronti ad aprire politicamente sul programma politico della Lega.
In Consiglio Comunale a Cuneo mai si è vista una cosa simile, la minoranza di centro-destra ci ha sempre e coerentemente votato contro al nostro programma, alternativo al loro.
Cosa c'è dietro? Sapevo che il PD Piemontese voleva l'alleanza con l'UDC di Casini, del Savoia, di Totò Cuffaro etc. (alleanza già sperimenata a Bra e Fossano) ora vuole andare oltre? Si apre anche alla Lega? La cosa inquietante è che gli eletti nella minoranza in Consiglio Provinciale non sono degli sprovveduti, anzi ricoprono inacrichi importanti in varie amministrazioni locali di centro-sinistra (sindaci, assessori, consiglieri, etc.) E Di Pietro il cui Consigliere Provinciale fa gruppo a sè, che pure si è astenuto, perchè non allearsi subito con Taricco già dal primo turno?
Mai come oggi occorre attrezzarci per rifondare una Sinistra di Alternativa con un minimo di dignità politica.
Fabio Panero

OSCURAMENTO INTERNET

OSCURAMENTO INTERNET

(Passato l'emendamento D'Alia)


L'attacco finale alla democrazia è iniziato! Berlusconi e i suoi sferrano il
colpo definitivo alla libertà della rete internet per metterla sotto
controllo.
Ieri nel voto finale al Senato che ha approvato il cosiddetto pacchetto
sicurezza (disegno di legge 733), tra gli altri provvedimenti scellerati come l'obbligo di denuncia per i medici dei pazienti che sono immigrati clandestini e la schedatura dei
senza tetto, con un emendamento del senatore Gianpiero D'Alia (UDC), è stato
introdotto l'articolo 50-bis, "Repressione di attività di apologia o
istigazione a delinquere compiuta a mezzo internet". Il testo la prossima
settimana approderà alla Camera. E nel testo approdato alla Camera l'articolo
è diventato il nr. 60. Anche se il senatore Gianpiero D'Alia (UDC) non fa
parte della maggioranza al Governo, questo la dice lunga sulla trasversalità
del disegno liberticida della "Casta" che non vuole scollarsi dal potere.
In pratica se un qualunque cittadino che magari scrive un blog dovesse invitare
a disobbedire a una legge che ritiene ingiusta, i provider dovranno bloccarlo.

Questo provvedimento può obbligare i provider a oscurare un sito ovunque si
trovi, anchese all'estero. Il Ministro dell'interno, in seguito a comunicazione
dell'autorità giudiziaria, può disporre con proprio decreto l'interruzione
della attività del blogger,
ordinando ai fornitori di connettività alla rete internet di utilizzare gli
appositi strumenti di filtraggio necessari a tal fine. L'attività di
filtraggio imposta dovrebbe avvenire entro il termine di 24 ore. La violazione
di tale obbligo comporta una sanzione amministrativa pecuniaria da euro 50.000
a euro 250.000 per i provider e il carcere
per i blogger da 1 a 5 anni per l'istigazione a delinquere e per l'apologia di
reato, da 6 mesi a 5 anni per l'istigazione alla disobbedienza delle leggi di
ordine pubblico o all'odio fra le classi sociali. Immaginate come potrebbero
essere ripuliti i motori di ricerca da tutti i link scomodi per la Casta con
questa legge? Si stanno dotando delle armi per bloccare in Italia Facebook,
Youtube, il blog di Beppe Grillo e tutta l'informazione libera che viaggia in
rete e che nel nostro Paese è ormai l'unica fonte informativa non censurata.
Vi ricordo che il nostro è l'unico Paese al mondo, dove una media company,
Mediaset, ha chiesto 500 milioni di risarcimento a YouTube. Vi rendete conto?
Quindi il Governo interviene per l'ennesima volta, in una materia che vede
un'impresa del presidente del Consiglio in conflitto giudiziario e d'interessi.
Dopo la proposta di legge Cassinelli e l'istituzione di una commissione contro
la pirateria digitale e
multimediale che tra poco meno di 60 giorni dovrà presentare al Parlamento un
testo di
legge su questa materia, questo emendamento al "pacchetto sicurezza" di fatto
rende esplicito il progetto del Governo di "normalizzare" il fenomeno che
intorno ad internet sta facendo crescere un sistema di relazioni e informazioni
sempre più capillari che non si riesce a dominare.
Obama ha vinto le elezioni grazie ad internet? Chi non può farlo pensa bene di
censurarlo e di far diventare l'Italia come la Cina e la Birmania.

venerdì 26 giugno 2009

IL CONSIGLIO COMUNALE DI CUNEO DICE NO AGLI F-35


Il Consiglio Comunale Comunale di Cuneo dice NO all'acquisto dei caccia F-35 e propone di utilizzare i fondi per la ricostruzione dell'Abruzzo: questa in sintesi la richiesta dell'Ordine del Giorno presentato da Rifondazione Comunista ( riprodotto integralmente di seguito) e sostenuto convintamente da tutti i gruppi di maggioranza nel corso della seduta del 24 giugno.

Il centro-destra in città rivendica invece la scelta del governo Berlusconi: meglio comprare cacciabombardieri da attacco nucleare (che neppure l'amministrazione Obama vuole più) invece di destinare i soldi alla ricostruzione.

Mentre per acquistare i caccia F35 il governo (e l’opposizione di comune accordo) hanno approvato la spesa per 14 miliardi di euro pochi giorni dopo il sisma, per le popolazioni colpite dall’Abruzzo occorre affidarsi alla fortuna: dal 18 maggio è partito "Gratta Quiz" il Gratta e vinci dedicato all'Abruzzo per "ricostruire insieme" (non è uno scherzo di cattivo gusto, basta consultare il sito del Ministero delle Finanze alla voce consorzio lotterie nazionali) quindi i terremotati potranno sempre tentare la fortuna....

Ma il caldo estivo gioca altri brutti scherzi: nel corso della stessa serata tutti i gruppi consiliari votano all'unanimità un altro Ordine del Giorno proposto dalla maggioranza di centro-sinistra di adesione alla campagna nazionale "NON AVERE PAURA, APRITI AGLI ALTRI, APRI AI DIRITTI" la campagna nazionale proposta da associazioni, sindacati, confessioni religiose ed Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati contro il razzismo.

Votano tutti quei partiti, Lega Nord compresa, che fino a pochi giorni prima durante la campagna elettorale per le amministrative ed europee, hanno cavalcato xenofobia e razzismo, tutti quei partiti di governo che hanno istaurato le ronde, votato il decreto sicurezza, rispedito i clandestini dal loro nuovo amico Gheddafi (senza preoccuparsi della fine che questi essere umani hanno fatto) ma percarità a Cuneo città nessuno è razzista. Ci mancherebbe. Il fantasmino giallo simbolo della campagna, indossato ieri sera da alcuni Consiglieri di maggioranza, è stato disegnato da un bimbo Rom del progetto Dado di Settimo torinese (case di edilizia popolare autocostruite, inserimento sociale, lavorativo e scolastico per gli assegnatari, insomma un progetto all'avanguardia) progetto dutamente contestato da una manifestazione questa volta del leghista cattivo Borghezio (che strano..), certo,ormai in politica la coerenza non è più un valore però ci vuole un bel coraggio!

Ho accennato al video, girato sul web la scorsa settimana, che mostra l'agonia di un uomo di origine rumena colpito a morte da una raffica di mitraglia mentre camminava con la fisarmonica in mano, a Napoli. La moglie ha implorato aiuto, ma nessuno si è avvicinato per soccorrerlo e anzi qualcuno diceva: «Zingaro, tornatene in Romania»: in campagna elettorale "battendo" piazze e mercati della nostra città abbiamo sentito ( se ve ne era bisogno) quale è la dura realtà purtroppo, ed il voto amministrativo lo ha confermato.


Fabio Panero, Consigliere Comunale di Rifondazione Comunista a Cuneo


ODG TERREMOTO

IL CONSIGLIO COMUNALE DI CUNEO

Considerato il tragico evento sismico che nella notte del 6 aprile ha causato considerevoli perdite umane nella Città de L’Aquila e nel territorio circostante;

Rilevato che anche nella provincia de L’Aquila e nelle restanti province della Regione si segnalano gravi danni sia alle abitazioni civili che al patrimonio immobiliare pubblico;

Considerato che tutte le forze politiche, sociali e civili dell’intera nazione sono impegnate nella risoluzione delle innumerevoli problematiche conseguenti all’emergenza in atto;

Considerato che una gran parte del patrimonio immobiliare complessivo della Regione Abruzzo costituito da strutture che non rispondono ai requisiti di sicurezza previsti dalla normativa antisismica;

Ritenuto che, conseguentemente, si evidenzi la necessità di reperire ingenti risorse da destinare sia alla ricostruzione che alla messa in sicurezza delle infrastrutture esistenti;

CONSIDERATO

che il Governo Italiano - dopo aver acquisito il parere positivo delle Commissioni competenti di Camera e Senato, in data 8 aprile 2009 si appresta ad acquistare 131 caccia bombardieri Joint Strike Fighters (F35) assumendo un impegno per il nostro Paese fino al 2026, con una spesa di quasi 14 miliardi di euro;

ritenendo si tratti di una decisione incomprensibile in questo momento caratterizzato, da un lato, da una crisi economica gravissima, in cui mancano risorse adeguate per gli ammortizzatori sociali per i disoccupati e vengono tagliati i finanziamenti pubblici alla scuola, all'università e alle politiche sociali, dall’altro, dalla assoluta emergenza causata dal terremoto in Abruzzo che ha determinato l’esigenza di reperire ingenti risorse finanziarie da destinare alla ricostruzione e alla messa in sicurezza di tutti gli edifici pubblici e privati;

valutando che, per le caratteristiche proprie degli F35 (aerei di attacco che possono trasportare anche ordigni nucleari), questi aerei sono incompatibili con le autentiche missioni di pace del nostro Paese e dunque in sostanziale contrasto con l’art. 11 della Costituzione;

considerato che il suddetto parere delle Commissioni di Camera e Senato autorizza ma non obbliga il Governo a firmare il contratto definitivo entro il 31/12/2009 con la Lockeed, capocommessa degli F35;

CHIEDE AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI E

AL GOVERNO ITALIANO

di fare una scelta di pace, di solidarietà e di responsabilità e, dunque,

di non dare corso alla prosecuzione del programma e

di destinare le cospicue risorse recuperate alla società, all’ambiente, al lavoro riconoscendo come prioritaria proprio l’esigenza di dare una risposta concreta, immediata e risolutiva all’emergenza terremoto in Abruzzo ed al bisogno di ingenti fondi da destinare alla ricostruzione, alla messa insicurezza di edifici privati e pubblici e al sostegno e rilancio dell’economia abruzzese e nazionale.

IL CONSIGLIO COMUNALE DI CUNEO

CHIEDE

· il superamento dei vincoli del patto di stabilità per i Comuni e le Province d’Abruzzo, per facilitare gli interventi di adeguamento sismico e messa in sicurezza di tutti gli edifici pubblici;

STABILISCE

di inviare copia della presente delibera al Presidente del Consiglio dei Ministri, ai Ministri, al Sottosegretario Dr. Bertolaso, al Presidente del Senato, al Presidente della Camera, al Presidente del Consiglio della Regione Abruzzo, al Presidente della Giunta della Regione Abruzzo, ai Presidenti delle altre Province abruzzesi, al Sindaco del Comune de L’Aquila.

PANE A UN EURO CONTRO IL CAROVITA

La distribuzione del pane al prezzo calmierato di 1 €/Kg, promossa a
Cuneo dal Partito della Rifondazione Comunista, attraverso la
costituzione dei GAP (Gruppi di Acquisto Popolari) ha registrato un
successo che è andato al di là delle più ottimistiche previsioni.

Sabato scorso (20 giugno), per la terza volta consecutiva, sono andati
esauriti, nel giro di un'ora e mezza, cento kg di pane fresco comune
di ottima qualità al banchetto allestito in Via Roma (angolo Piazza
Galimberti).

La richiesta da parte di quanti si sono affollati al banchetto di
proseguire l'iniziativa e di tradurla in pratica costante, allargata
ad altri beni di prima necessità, è la più chiara dimostrazione di
quanto le condizioni economiche e sociali in costante peggioramento
rendano urgenti azioni concrete di autodifesa dal carovita.

Mentre il governo di Berlusconi e della Lega e la Confindustria
difendono a colpi di miliardi di euro esclusivamente la Borsa e le
banche, la borsa della spesa di tutti noi è attaccata dalla
speculazione mondiale e nostrana.

Per questo Il PRC e il GAP di Cuneo ora costituitosi continueranno la
loro azione concreta di contrasto al carovita. Solo
l'autorganizzazione di massa può davvero difenderci dalle speculazioni
criminali degli affaristi. Oggi il pane, presto altri beni di prima
necessità e la lotta alle tariffe ed agli affitti.

Per questo invitiamo tutta la cittadinanza non solo a venire a
trovarci presso il nostro banchetto in via Roma (angolo piazza
Galimberti) questo sabato (27 giugno) dalle 9 alle 12 come tutti
quelli seguenti per aderire al GAP e ritirare il pane, ma anche per
discutere ed organizzarsi insieme a noi.

venerdì 12 giugno 2009

NO AL REFERENDUM TRUFFA


Ballottaggi e Referendum: si vota dalle 8 alle 22 di comenica 21 giugno e dalle 7 alle 15 di lunedì 22 giugno
PERCHE' NON VOTERO' AL REFERENDUM ELETTORALE DEL 21 GIUGNO

Fabio Panero, Consigliere Comunale Rifondazione Comunista di Cuneo
Siamo tutti scontenti della vigente legge elettorale, unanimemente denominata “porcellum” con la quale si è votato nelle ultime due tornate elettorali (2006 e 2008). Questa legge, attraverso le liste bloccate, ha espropriato gli elettori di ogni residua possibilità di scegliersi i propri rappresentanti in Parlamento, conferendo a una ristrettissima oligarchia di persone (i capi dei partiti politici) il potere di determinare al 100% la composizione delle Assemblee legislative. Di conseguenza tutti i “rappresentanti del popolo” sono stati nominati, da oligarchie di partito, svincolate da ogni controllo popolare.
Attraverso l’introduzione di soglie di sbarramento irragionevoli, il “porcellum” ha soffocato il pluralismo, espellendo le minoranze, non coalizzate dal Parlamento.
Il referendum proposto non corregge nessuno dei difetti del “porcellum” ma, al contrario, li aggrava, esaltandone le conseguenze negative.
Il referendum propone sostanzialmente due modifiche della vigente legge elettorale: a) attribuisce il premio di maggioranza alla lista, che abbia ottenuto anche un solo voto in più delle altre liste concorrenti, abrogando la possibilità che il premio venga attribuito ad una coalizione di partiti; b) determina il raddoppio delle soglie di sbarramento confermando per tutti la soglia del 4% alla Camera dei Deputati e dell’8% al Senato (che la legge attuale impone soltanto ai partiti non coalizzati).
Attribuire il premio di maggioranza ad una sola lista determina un incremento inusitato del premio stesso, sovvertendo la regola basilare di ogni democrazia che si poggia sul principio che le decisioni si prendono a maggioranza.
In questo modo si realizzerebbe una sorta di dittatura della minoranza, in quanto un solo partito, senza avere il consenso della maggioranza del popolo italiano, avrebbe nelle sue mani il controllo del Governo e la possibilità di eleggere – da solo – il Presidente della Repubblica e di modificare la Costituzione.
La chiamata degli elettori alle urne per il referendum nasconde un inganno: essa sfrutta l’insoddisfazione generale che tutti noi nutriamo verso questa legge elettorale (il porcellum) per spingerci ad un voto che, qualunque sia il risultato, non può avere altro effetto che quello di rafforzare il porcellum.
Per questo si tratta di un referendum beffa: ci chiama alle urne per ammazzare il porcellum, ma in realtà lo ingrassa e lo rende intoccabile, in quanto il Parlamento non potrebbe fare delle riforme elettorali perché vincolato dal voto popolare espresso con il referendum.
Per questo diciamo No al referendum elettorale, non andando a votare e rifiutando le schede del referendum, se chiamati alle urne per il ballottaggio.

ENRICO BERLINGUER


editoriale di Liberazione del 11/06/2009

Enrico Berlinguer
di Dino Greco direttore
Probabilmente è nel destino delle persone che hanno lasciato una grande impronta di sé trovare dei cattivi o addirittura pessimi biografi. Capita frequentemente, nelle epoche di decadenza, quando, per incomprensione o per rimozione (che, a ben vedere, sono la stessa cosa), si smarrisce la capacità critica e vi si sostituisce un giudizio sommario, liquidatorio. O, peggio, assai peggio, caricaturale. C’è forse, in questo, una propensione un po’ vigliacca e un po’ infantile, ad attribuire le proprie miserie a chi è venuto prima di noi. Si attribuiscono al passato le responsabilità del presente e agli errori altrui l’incapacità di dominare i problemi che tocca a noi risolvere. Capita così che i mediocri e sino a ieri acritici adulatori si trasformino in spietati detrattori. E’ quello che è capitato ad Enrico Berlinguer, da un lato, e a molti dei suoi assai modesti epigoni, dall’altro. A venticinque anni dalla sua morte su quel palco di Padova, la sua breve agonia appare, alla luce del tempo trascorso, come la rappresentazione dell’agonia di una nazione, la conclusione drammatica di un ciclo.
Chi visse quelle giornate e la commozione corale che le accompagnò, ne sono certo, porta dentro di sé il ricordo di uno smarrimento, della percezione istintiva, prerazionale, di una cesura, di un qualcosa di irrimediabile che si perdeva. E questo identico vissuto accomunava tutti, tanto le persone più semplici quanto quelle intellettualmente più robuste. Sia chiaro, questa breve escursione nel ricordo personale non è mossa da alcun intento agiografico, che sarebbe altrettanto letale dell’oblio. E’, semmai, una valorizzazione dei sentimenti, intesi - direbbe Gramsci - non come una manifestazione secondaria dell’intelligenza, ma come la condizione stessa del comprendere. Se Berlinguer entrò in così profonda risonanza con masse enormi di persone di ogni ceto sociale non è certo per una malintesa inclinazione moralistica, per un’astratta rivendicazione della diversità comunista. In lui si colse quel che vi era di più autentico: l’idea della politica - e della rivoluzione - come mutamento profondo dei rapporti sociali, incardinato su una grande riforma intellettuale e morale, come espansione molecolare della democrazia e dei diritti, individuali e collettivi. Di qui l’insistenza ossessiva che caratterizzò gli ultimi anni della sua vita perché si impegnasse una lotta a fondo contro l’occupazione del potere da parte dei partiti, contro la corruzione, la contaminazione affaristica della politica e la penetrazione, nelle istituzioni, della cancrena della P2.
E’ davvero paradossale, ma rivelatore, che l’acutezza di quella intuizione sia scarsamente avvertita proprio oggi, nella fase storica in cui quel processo degenerativo, colpevolmente ignorato, è penetrato sin nel midollo spinale della politica, trasformando in senso plebiscitario il rapporto fra partiti e popolo, immiserendo l’idea di rappresentanza e la stessa percezione che di sé e della democrazia hanno i cittadini.
Ci sono, fra gli altri, due momenti cruciali nella vita e nella battaglia politica di Berlinguer che paiono a me di straordinaria importanza, non solo perché delineano il profilo culturale e il carattere dell’uomo, ma perché racchiudono un nocciolo di verità e di attualità che ha moltissimo da dire al tempo presente. Siamo nel 1976 e il Paese si sta avvitando in una crisi economica, sociale e finanziaria gravissima. I pilastri su cui si era retto il modello di sviluppo precedente sono tutti entrati in crisi: il regime di bassi salari, messo in crisi dalle poderose lotte operaie a partire dal ’69, il basso costo delle materie prime, schizzato verso l’alto come risposta dei paesi produttori di petrolio alla decisione di Nixon di sospendere la convertibilità del dollaro in oro, che aveva provocato un vero e proprio sconvolgimento nel sistema monetario e valutario internazionale. In Italia, l’inflazione galoppava e si saldava alla recessione, con un contraccolpo pesantissimo sull’occupazione.
E’ di fronte a questo scenario che Berlinguer, con un Pci che ha raggiunto, elettoralmente e politicamente, l’apice della propria forza e prestigio, pone a tema la questione che sia giunto il momento di non limitare il ruolo dei comunisti ad una battaglia puramente redistributiva, cioè difensiva, ma di intervenire su un terreno sul quale mai si era fino allora spinto il movimento operaio. Così, nel convegno degli intellettuali del gennaio 1977, al teatro Eliseo di Roma, e poi nella conferenza operaia di Milano dello stesso mese, Berlinguer dirà: «Gli operai, i lavoratori non vogliono cambiare solo, né tanto, il tipo della loro automobile o il modello del loro televisore: il significato politico ideale, il senso umano profondo della loro vittoriosa “spallata” sindacale è, a intenderlo bene, che essi vogliono cambiare, anche e soprattutto, la qualità dello sviluppo del Paese, la qualità della vita loro e di tutti, le forme del consumare e del produrre».
Berlinguer attacca gli errori enormi compiuti nella politica del suolo, del territorio, dell’ambiente, nel campo della ricerca. La svolta che egli propone «non è un mero strumento di politica economica cui si debba ricorrere per superare una difficoltà temporanea, congiunturale, per potere consentire la ripresa e il ripristino dei vecchi meccanismi economici e sociali». La proposta che egli avanza è rivolta a «contrastare alle radici e a porre le basi del superamento di un sistema che è entrato in una crisi strutturale, i cui caratteri distintivi sono lo spreco e lo sperpero, l’esaltazione dei particolarismi e dell’individualismo più sfrenati, del consumismo più dissennato. [...] La nostra proposta è il contrario di tutto ciò che abbiamo conosciuto e pagato finora».
Non si tratta di un esercizio intellettualistico, ma di «una cosa che non si è mai fatta in Italia, sia per la sostanza che per il metodo». Per mettere in moto una proposta cui dare forma compiuta attraverso una discussione di massa che coinvolge e chiede il contributo dei lavoratori, dei tecnici, dei dirigenti aziendali, delle masse giovanili e delle loro organizzazioni, delle donne e delle loro associazioni. Un cimento che chiami ad un ingaggio diretto le forze che sono o dovrebbero essere creative per definizione, le forze degli intellettuali, della cultura. Per percorrere «vie non ancora esplorate, ed inventare qualcosa di nuovo che sta, però, sotto la pelle della storia, maturo e necessario. E dunque possibile».
Tramontata l’illusione secondo la quale, di per sé, la statalizzazione dei mezzi di produzione e di scambio avrebbe liberato nuove forze produttive e condotto a nuovi rapporti di produzione, Berlinguer introduce una novità di fondo. L’idea che non è uno schieramento di maggioranza che deve impossessarsi del governo e quindi calare la sua politica nella società, ma è la società che esprime le sue forze protagoniste e quindi accede al governo di se medesima. La proposta di “austerità”, formula sfortunata, che nulla tuttavia aveva a che vedere con un «tendenziale livellamento verso l’indigenza», fu invece spacciata per una sorta di pauperismo e - nella versione che prevalse nel sindacato e nella Cgil - come invito ai «sacrifici» e costrizione entro le «compatibilità date dal sistema». Lettura del tutto estranea, anzi opposta, a quel progetto di trasformazione strutturale che era di Berlinguer.
L’illusione (fatale) del segretario del Pci fu che un capovolgimento così grande potesse avere come incubatoio un quadro politico-istituzionale condiviso con la Dc morotea e con una borghesia nazionale che lavorò con il martello pneumatico per indebolire quella prospettiva e per realizzare - a spese dei lavoratori, dei loro diritti, del potere da loro conquistato in un decennio - la più pesante delle ristrutturazioni capitalistiche. Quando tutto ciò fu chiaro, Berlinguer compì la più radicale e sofferta delle autocritiche. E quando, nel settembre del 1980, la Fiat fece recapitare ai sindacati la lettera che annunciava 14mila licenziamenti, Berlinguer - con un gesto mal digerito da metà del suo partito e dalla Cgil - andò davanti ai cancelli della più grande fabbrica d’Italia: a Mirafiori, a Rivalta, al Lingotto, alla Lancia di Chivasso. E disse agli operai «una sola cosa, ma molto importante». Disse che qualunque forma di lotta avesse deciso il sindacato assieme ai lavoratori, avrebbe trovato il sostegno materiale, morale e politico del partito comunista italiano.
L’effetto, fra i lavoratori, fu enorme. Ma non bastò. Come si sa, il sindacato capitolò. E quella sconfitta segnò uno spartiacque con tutta la storia successiva. Che trovò il suo epilogo negativo nel decreto di San Valentino, con cui Craxi, nel 1984, decise il taglio di quattro punti di scala mobile. Non si trattò di una discutibile manovra economica, ma di un atto deliberatamente politico, rivolto a piegare il movimento operaio ed ad isolare il Pci. Quella condotta contro questo «autentico sopruso», che Berlinguer avvertì in tutta la sua gravità, per le conseguenze sociali e per la vulnerazione democratica che portava con sé, fu l’ultima battaglia che egli ingaggiò, fino alla promozione del referendum abrogativo di quel decreto, scelta compiuta nell’ostilità manifesta di parte non irrilevante del suo partito.
Anche in questa vicenda egli affermò una visione straordinariamente moderna del rapporto col sindacato, del quale non condivise la remissività e i cedimenti, anche se condotti nel nome dell’unità. Del sindacato egli accettava pienamente l’autonomia, fuori da ogni primazia del partito e da ogni logica da “cinghia di trasmissione”. Ma, appunto per questo, rivendicava il diritto del partito di pronunciarsi su tutto, senza vincoli e senza deleghe. Un principio fondamentale egli rivendicò, inascoltato, al sindacato. Quello della democrazia come diritto sovrano dei lavoratori. Di esso rese onestamente testimonianza Luciano Lama, ad un anno dalla scomparsa del segretario del Pci, riconoscendo che «Berlinguer aveva ragione su un punto che anch’io ho tardato a capire, ed è quello relativo alla democrazia del sindacato, la possibilità per i lavoratori di compiere le loro scelte liberamente, riducendo il peso di una struttura di direzione dei gruppi dirigenti che poteva diventare una specie di sovrapposizione rispetto alle masse. Aveva ragione - continuava Lama - e talora penso che se avessimo ragionato prima, nel sindacato, sul funzionamento della democrazia, stabilendo regole precise, avremmo contenuto le conseguenze più negative delle divisioni di oggi, e non dovremmo fare i conti con certe inaccettabili lacerazioni dei nostri giorni».
Berlinguer perse la sua battaglia. Ma ci sono sconfitti e sconfitti, vincitori e vincitori. E ci sono vicende che vanno valutate in una prospettiva storica, oltre le miserie (e le amnesie) del tempo presente. Una piccola chiosa finale: pochi giorni dopo i funerali, il partito di Berlinguer, che si chiamava comunista, superò nelle elezioni europee la Dc e divenne il primo partito d’Italia. Nessuno, a sinistra, ha più saputo, né potuto osare tanto.

mercoledì 10 giugno 2009

Dalla sconfitta rilanciare il conflitto sociale e l’unità della sinistra di alternativa

ferrero1(1).jpg
di Paolo Ferrero
Le elezioni ci consegnano un panorama decisamente spostato a destra. A Livello europeo assistiamo alla vittoria delle forze conservatrici, ad una pericolosa crescita delle forze razziste e al crollo delle socialdemocrazie. Le forze della sinistra europea tengono con alcuni elementi di crescita ma certo non sfondano. Per adesso la crisi quindi lavora a destra, il disagio sociale si esprime principalmente fuori dalla politica – attraverso il non voto – o dentro una logica di guerra tra i poveri egemonizzata dalla destra .

In Italia assistiamo ad una sconfitta del tentativo berlusconiano di sfondamento costituzionale che ha voluto trasformare le elezioni in referendum sulla sua persona. Il plebiscito non c’è stato. La sconfitta dell’estremismo berlusconiano non si traduce però nella sconfitta delle destre che complessivamente non perdono voti. La tenuta delle destre con la vittoria della sua ala razzista e populista si accompagna ad una redistribuzione di voti nell’ambito delle opposizioni: sconfitta secca del PD, raddoppio dell’Italia dei Valori, raddoppio dell’area di sinistra che però non elegge in quanto divisa in tre. Come la Lega capitalizza a destra, Di Pietro capitalizza a sinistra sulla base di un antiberlusconismo tanto urlato quanto inconsistente sui contenuti economici e sociali.

In questo contesto due sono le urgenze su cui lavorare.
In primo luogo la costruzione di una forte opposizione sociale, politica e culturale non solo a Berlusconi ma alla politica del governo, di confindustria, delle banche e – quando serve – al Vaticano. Occorre rompere la pace sociale che si traduce in disperazione individuale ed in impotenza di fronte alla crisi. Di fronte alla perdita di centinaia di migliaia di posti di lavoro vi è una drammatica assenza di iniziativa politica e sindacale che noi dobbiamo provare a forzare. Occorre ricostruire un sano conflitto sociale per evitare che la crisi continui a produrre unicamente guerre tra i poveri e che la destra estrema continui a rafforzarsi proprio a partire dalla crisi. Su questo è necessario un salto di qualità fortissimo nel lavoro politico del partito che deve essere riorganizzato dalla testa ai piedi nella direzione del lavoro sociale, della costruzione e della generalizzazione del conflitto. Occorre passare decisamente dall’opposizione urlata ma parolaia all’opposizione sociale nel paese, alla mobilitazione contro i contenuti concreti delle politiche governative.

In secondo luogo occorre avviare una iniziativa specificatamente politica sul terreno dell’unità della sinistra. L’unità della sinistra anticapitalista che abbiamo proposto e realizzato solo parzialmente nella consultazione elettorale deve essere rilanciato. Non abbiamo potuto realizzare questo obiettivo nelle elezioni europee perché vi è chi ha preferito il rapporto con gli epigoni di Craxi all’unità della sinistra di alternativa ma non ci dobbiamo dare per vinti. Proponiamo perciò di costruire un polo della sinistra di alternativa, che a partire dal coordinamento delle forze che hanno dato vita alla lista anticapitalista e comunista si ponga l’obiettivo di costruire una rete di relazioni stabili tra tutte le forze politiche, culturali e sociali disponibili a lavorare per l’alternativa. Confronto e lavoro comune tra le forze comuniste e processo di aggregazione della sinistra di alternativa non sono processi alternativi ma due facce della stessa medaglia. Dobbiamo agire con forza questa prospettiva partendo dall’aggregazione a cui abbiamo dato vita alle europee per allargarla. Per costruire un processo di aggregazione della sinistra italiana non subalterna al PD così come abbiamo costruito una sinistra europea non subalterna alle socialdemocrazie.

Non abbiamo raggiunto il risultato che ci prefiggevamo alle europee ma abbiamo rimesso in moto il partito e lo abbiamo ridislocato nell’iniziativa politica. Si tratta ora di valorizzare il lavoro fatto producendo un salto di qualità sia nella costruzione dell’opposizione sociale che nell’iniziativa unitaria a sinistra. Dentro una crisi che stà cambiando tutto è possibile operare per un suo sbocco a sinistra. Questo è il compito dei comunisti oggi.
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